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PROTEINE: FUNZIONE, FABBISOGNO E CURIOSITA’

PROTEINE: FUNZIONE, FABBISOGNO E CURIOSITA’

In questo articolo parliamo di proteine, un macronutriente molto importante per il nostro organismo e, a volte, sottovalutato.

In modo particolare andremo a vedere qual è la loro funzione all’interno del nostro organismo, parleremo del loro specifico fabbisogno e vi racconterò di alcune curiosità che le riguardano.

Dieta a Isernia
Dietista e Nutrizionista Valentina Rossi

FUNZIONE DELLE PROTEINE

Le proteine sono delle lunghe catene di amminoacidi legati tra loro con un legame peptidico.

Il loro nome deriva da protos (primario): già da qui possiamo intuire quanto questi macronutrienti svolgano un ruolo essenziale per il nostro organismo.

Generalmente, le proteine vengono sempre associate alla sintesi proteica muscolare, e quindi all’ aumento o mantenimento della massa muscolare.
In realtà le proteine hanno tantissime altre funzioni indispensabili per la nostra sopravvivenza:

  • Funzione di ormoni, in quanto alcuni di essi, come l’insulina, possono essere di natura proteica
  • Funzione enzimatica, ad esempio di enzimi utili per il nostro metabolismo energetico oppure anche enzimi con funzione digestiva. Sia gli enzimi proteolitici, sia quelli utili per digerire gli amidi o i disaccaridi, e sia le lipasi, sono tutte molecole di natura proteica.
  • Funzione di trasporto, in quanto molte molecole che entrano nella cellula lo fanno grazie all’ausilio di componenti proteiche che in alcuni casi “trasportano” la sostanza all’interno della cellula.
  • Funzione strutturale
  • Funzione immunitaria: molte componenti del Sistema Immunitario sono rappresentate proprio da specifiche proteine, senza contare che molte molecole che rappresentano dei segnali per scatenare la risposta infiammatoria e la risposta immunitaria sono, ancora una volta, molecole proteiche.
  • Regolano alcuni geni e quindi hanno un ruolo, anche importante, nell’espressione, nell’attivazione e nella disattivazione di alcuni geni delle nostre cellule del nostro organismo.


Tutto questo semplicemente per dire che non dobbiamo essere riduttivi e pensare che le proteine siano soltanto molecole utili per aumentare la massa muscolare oppure per produrre glucosio attraverso la via biochimica della gluconeogenesi.
Conoscendo questi aspetti per sommi capi possiamo sicuramente comprendere molto meglio cosa succede se vi è un adeguato o un’inadeguato apporto di proteine (e di aminoacidi essenziali) con la dieta.

GIUSTA ASSUNZIONE DI PROTEINE: EFFETTI

proteine

L’adeguata assunzione di proteine agisce principalmente su quattro fenomeni.
Innanzitutto le proteine, come sappiamo, hanno un effetto positivo sulla massa muscolare, sui processi anabolici utili per aumentare l’ipertrofia delle fibre muscolari ma anche, semplicemente, per ridurre il catabolismo proteico muscolare, e quindi preservare la perdita di massa magra (e muscolare) in condizioni e situazioni particolari.


Inoltre, le proteine hanno sicuramente un effetto positivo anche sulla massa ossea: non solo sono una componente fondamentale strutturale delle ossa, ma intervengono in molti modi sul metabolismo osseo e sulla vita, dinamica, dell’osso.
Il principale ruolo positivo dell’apporto proteico sulla massa ossea è proprio data dal loro effetto di aumento e mantenimento della forza e della massa muscolare.


Un altro effetto sicuramente importante che possiamo riscontrare con un adeguato apporto proteico è sicuramente il beneficio che questo apporta sulla capacità dell’organismo di far fronte a lesioni, infezioni, infiammazioni a cui può andare incontro.
Le proteine sono anche molto importanti nella guarigione dalle malattie e dalle infezioni, nella rimarginazione delle ferite e nella sintesi e riparazione dei tessuti lesionati o infiammati. La malnutrizione proteica porta ad una diretta e indiretta riduzione della risposta immunitaria e ad una riduzione generale della sorveglianza dalle malattie. Non a caso, i soggetti malnutriti, soprattutto quando l’apporto proteico è inadeguato, hanno una maggior predisposizione ad infezioni e a malattie non infettive.
Non solo un soggetto con poche proteine (o malnutrito in generale) è un soggetto che si ammala più spesso, ma si ammala anche più gravemente e, soprattutto, è meno in grado di “rispondere” all’insulto patologico, per cui aumenta in maniera consistente la mortalità e le disabilità come conseguenze di alcune patologie.

Infine, un effetto importante delle proteine è quello di aumentare la sensazione di sazietà, e quindi in qualche modo di aumentare la compliance alla dieta di un soggetto che deve seguire una restrizione energetica per i suoi obiettivi di perdita di peso e riduzione del grasso corporeo.

FABBISOGNO PROTEICO

Il fabbisogno proteico per la popolazione generale è di 0,8-1g/kg di peso corporeo.
Per “popolazione generale” intendiamo persone mediamente sedentarie, normopeso, che non hanno alcuna condizioni o necessità particolare, non seguono alcun tipo di dieta particolare e non hanno obiettivi specifici per la composizione corporea.

Ci sono tante condizioni che possono portare ad una variazione del fabbisogno proteico, ma in genere sempre aumentandolo, mai riducendolo al di sotto di 0,8-1g/kg di peso.

In gravidanza, ad esempio, il fabbisogno proteico aumenta, anche se solo di poco (1-1,2g/kg).
Non esagerate con l’apporto proteico in gravidanza, poiché non solo non ha alcun vantaggio, ma ci sono anche alcuni studi che suggeriscono che un eccesso di proteine in gravidanza e/o nei primissimi mesi/anni di vita del bambino possono predisporre all’obesità, in quanto si osserva un “rebound adiposo anticipato”.

Nell’ anziano, il fabbisogno proteico è ancora leggermente aumentato, probabilmente per via dell’abbassamento delle concentrazioni degli ormoni cosiddetti anabolici e per via del fenomeno della “resistenza anabolica”.
Pertanto con l’invecchiamento il soggetto tende ad avere sempre più difficoltà a mantenere e aumentare il muscolo, e sempre più facilmente, invece, lo perde sostituendolo in parte con il grasso, soprattutto in condizioni di sedentarietà (il cosidetto fenomeno della sarcopenia e/o obesità sarcopenica).

Un altro caso in cui si consiglia un aumento del fabbisogno proteico rispetto alle RDA per la popolazione generale è per i soggetti vegani, cioè che assumono solo proteine di origine vegetale.
Sappiamo bene che queste proteine, pur riuscendo a soddisfare tranquillamente i fabbisogni di tutti gli amminoacidi essenziali, sono comunque proteine di più bassa qualità, ma soprattutto di bassa efficienza digestiva, motivo per cui è necessario aumentare l’apporto proteico di circa il 20% per poter compensare queste caratteristiche deficitarie.

Nel caso degli sportivi, in generale, senza entrare nel merito dello sport, del tipo di attività fisica e degli obiettivi specifici, il fabbisogno proteico in genere raddoppia, e si parla di un range che va da 1,4 g/kg a 2g/kg di peso corporeo.
Nel caso, nello specifico questa volta, di soggetti che si allenano contro resistenze e che sono interessati per lo più alla composizione corporea, e che seguono una dieta normo o ipercalorica il fabbisogno sembrerebbe aggirarsi intorno a 1,6g/kg di peso corporeo.

Tuttavia le indicazioni circa l’assunzione proteica giornaliera possono variare, anche di molto, in base al tipo di sport, allo stato nutrizionale e di composizione corporea di partenza del soggetto e in base agli obiettivi a medio-lungo termine che si prefissa.

Parliamo di un apporto molto elevato (2,3 – 3,1 g/kg/die) nel caso di soggetti che vogliono massimizzare il mantenimento della massa magra e che si allenano contro resistenze (con i pesi, ad esempio) durante periodi di dimagrimento (diete ipocaloriche).

Come potete notare, il range è molto ampio, e questo significa 2 cose:
– C’è un’ elevata variabilità, per cui mai ragionare per assoluti, ma appunto solo per concetti e per range indicativi, da personalizzare successivamente
– Il fabbisogno proteico può variare, anche molto, in base allo stato di composizione corporea di partenza del soggetto.
Ad esempio, persone in sovrappeso avranno un fabbisogno proteico più basso, poiché il grasso fa da “protein sparing”, protegge cioè dall’eccessiva perdita di massa muscolare durante la restrizione energetica.
Invece, più il soggetto è muscoloso e presenta una massa grassa molto bassa, e più può essere utile, aumentare l’apporto proteico, per cui magari ci si potrebbe assestare sugli estremi più alti del range (intorno a 3g/kg/die).

Infine, è stato visto che apporti proteici molto ma molto elevati, superiori rispetto anche ad altri fabbisogni per altri sportivi, sono consigliati e raccomandati in individui e atleti impegnati in allenamenti e sport di resistenza.
In questo caso, infatti, non solo si consiglia una grande quantità di carboidrati, ma anche una grande quantità di proteine ogni giorno (un apporto proteico maggiore di 3 g/kg).

APPORTI MAGGIORI DI PROTEINE CHE EFFETTI HANNO?

0,8g/kg/die è solo la quantità sicura per mantenere in salute e non indurre carenza proteica in soggetti adulti sani non sportivi.
Come abbiamo visto, diverse patologie e diverse condizioni fisiologiche (gravidanza, allattamento, crescita, aumento di massa muscolare) necessitano di quantità proteiche maggiori.

Inoltre, l’aumento dell’apporto proteico al di sopra dei livelli minimi suggeriti dal RDA è fortemente suggerito, soprattutto negli sportivi, per:

1. Preservare o aumentare la massa muscolare.
2. Tenere alto il metabolismo, perché le proteine hanno un’azione termogenetica maggiore rispetto a carboidrati e grassi.
3. Avere un miglior controllo glicemico e una miglior sensibilità insulinica, che è anche un effetto indiretto dovuto al mantenimento e all’ aumento della massa muscolare, in quanto il tessuto muscolo scheletrico ha un ruolo, anche molto importante, nella regolazione del metabolismo e nel controllo della glicemia.
4. Aumentare la sintesi muscolare dei mitocondri.
5. Preservare o migliorare la salute dell’osso.
6. Aumentare la compliance alla dieta per aumento del potere saziante della dieta.

Insomma, dalla mia esperienza circa l’80-90% delle persone che vogliono migliorare la loro composizione corporea risolverebbe la maggior parte dei problemi semplicemente aumentando l’apporto proteico, in quanto noto che troppo spesso è troppo basso (intorno al grammo per chilo di peso corporeo).
Chiaramente parlo solo dell’intervento principale dal punto di vista alimentare, perché è chiaro che poi l’allenamento e quindi la stimolazione attiva, meccanica, del tessuto muscolare è di fondamentale importanza.

MANGIANDO PIU’ PROTEINE SI DIMAGRISCE PIU’ VELOCEMENTE?

In ambito clinico, nei soggetti obesi o obesi gravi, si utilizzano diete a bassissimo apporto calorico (600-800 kcal/die) ma iperproteiche.
Il motivo è molto semplice: se noi instauriamo un deficit energetico così forte e tassante sull’ organismo, è importante che preserviamo il più possibile la massa muscolare e anche l’azione delle altre proteine (ricordiamo la relazione tra proteine e sistema immunitario, ad esempio). Inoltre, non dimentichiamoci che:
-Una dieta iperproteica può aiutare a sopprimere la fame.
-Le proteine hanno un maggior effetto termogenico.

Il punto è che le proteine non fanno dimagrire per motivi particolari, e assolutamente non fanno dimagrire se non si segue una dieta ipocalorica.
Il vantaggio delle proteine è che aiutano appunto a creare il deficit energetico, perché sopprimono la fame e quindi aumentano la compliance alla dieta, aiutando il soggetto a mangiare meno, e infine, ma questa è probabilmente una speculazione che nel mondo reale è trascurabile, perchè hanno un effetto termogenico maggiore, per cui aumentano, anche se solo leggermente, il TDEE del soggetto.

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Iniziamo questo viaggio insieme, verso la tua consapevolezza alimentare.

valentina.rossi91.dietista@gmail.com

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BIOIMPEDENZIOMETRIA: UTILIZZO E VALIDITA’

BIOIMPEDENZIOMETRIA: UTILIZZO E VALIDITA’

La determinazione della composizione corporea è il presupposto essenziale per la programmazione dell’allenamento su base individuale e per impostare una dieta personalizzata. L’esame della composizione corporea è l’esame della struttura corporea e delle sue componenti. Essa ci permette di quantificare la componente muscolare, ossea e di grasso corporeo, il livello di idratazione (acqua totale), distribuzione di acqua intra ed extracellulare, minerali totali, massa metabolicamente attiva, metabolismo basale correlato alla massa cellulare. L’analisi della composizione corporea, in sostanza, permette di delineare il profilo fisiologico del soggetto. Nell’ambito dello sport e del fitness è fondamentale per elaborare un piano di allenamento e un piano alimentare personalizzati. Tra i metodi di valutazione ci sono la plicometria e la bioimpedenziometria.

VALUTAZIONE DELLA COMPOSIZIONE CORPOREA

bioimpedenziometria

Per approfondire la conoscenza della composizione corporea è necessario avere ben chiaro che l’organismo può essere suddiviso in compartimenti.

Modello base

  • 2 compartimenti (massa grassa/massa magra – FM/FFM)

Modelli multicompartimentali

  • Elementare – 5 compartimenti (carbonio / idrogeno / ossigeno / azoto / altri elementi)
  • Molecolare – 5 compartimenti (acqua / grasso / proteine / minerali / glicogeno)
  • Cellulare – 5 compartimenti (massa cellulare / solidi extracellulare / acqua extracell. / grasso)
  • Funzionale – 4 compartimenti (muscolo scheletrico / tessuto adiposo / scheletroorgani viscerali e residui).

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Nella valutazione della composizone corporea (quindi della massa grassa – FM) i livelli di validità sono 3:

  • I° livello – diretto: dissezione dei cadaveri ed estrazione del grasso con etere
  • II° livello – parzialmente diretto: misurazione di “alcune” quantità mediante densitometria (DEXA) e successiva relazione quantitativa per la stima della FM
  • III° livello – indiretto: rilevazione di una misura (come uno spessore o la resistenza elettrica) e derivazione di un’equazione regressa al II° livello (in realtà sarebbe meglio definirlo doppiamente indiretto).

La plicometria e la bioimpedenziometria sono metodi appartenenti al III° livello di validità e pertanto INDIRETTI; sono ALTAMENTE “campione specifici” in quanto la relazione tra adipe e densità dipende da molte variabili come: idratazione corporea, densità corporea, muscolarità, comprimibilità e spessore dell’adipe, distribuzione del grasso, quantità di grasso intraddominale.

COS’È LA BIOIMPEDENZIOMETRIA?

La bioimpedenziometria (o Body Impedance Analysis, BIA) è la tecnica più utilizzata per misurare la composizione corporea stabilendo la percentuale di massa magramassa grassa e un corretto stato di idratazione del corpo.

Sappiamo che il corpo umano è composto in media per il 65% di acqua e che i tessuti biologici possono comportarsi come conduttori elettrici o, al contrario, come isolanti a seconda della quantità d’acqua che contengono.
I tessuti magri, soprattutto i muscoli,  risultano essere ottimi conduttori, perché contengono una maggiore quantità d’acqua (STIMATA per il 73%) e di elettroliti, mentre i tessuti grassi e quelli ossei sono isolanti.

La bioimpedenziometria, sfruttando la capacità dell’acqua di condurre elettricità, quantifica la resistenza e la reattanza (o conducibilità) dei tessuti umani ad una leggera corrente elettrica e stabilisce così  la percentuale di idratazione, di massa magra e di massa grassa del corpo. La resistenza dipende dai fluidi corporei, la reattanza invece dipende dalla massa cellulare attiva (body cellular mass, BCM)

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Se l’acqua totale corporea (TBW = total body water) è molta, la corrente fluisce attraverso il corpo con maggior facilità e minore resistenza. La resistenza è dunque inversamente proporzionale al contenuto idrico (più acqua = meno resistenza).

PRINCIPALI TIPOLOGIE

Il metodo di analisi bioimpedenziometrica più diffuso e routinario è quello della impedenza bioelettrica convenzionale, detta anche BIA convenzionale, che presenta alcuni significativi vantaggi legati alla non invasività, alla rapidità di esecuzione e al costo relativamente basso.
Tuttavia, la BIA convenzionale potrebbe rivelarsi poco adatta perché assume come costante la proporzione di acqua, proteine e minerali nella massa magra, proporzioni che in alcune fasce di età e in situazioni particolari cambiano frequentemente. Tale metodo si basa sull’assunto che la massa magra sia mediamente costituita dal 73% di acqua. Pertanto, una volta acquisita la stima dell’acqua totale corporea (TBW = total body water), analizzando il differente comportamento dei tessuti al passaggio dell’elettricità, si può facilmente ricavare per sottrazione la percentuale di massa grassa. Nell’esame bioimpedenziometrico classico un software trasforma i dati elettrici rilevati in un dato clinico sulla base di algoritmi che tengono conto anche dei valori di riferimento della popolazione e delle misure antropometriche del soggetto, della sua età e del suo sesso.

L’analisi bioelettrica vettoriale dell’impedenza (BIVA) è una metodologia di analisi impedenziometrica messa a punto nella seconda metà degli anni ’90, che utilizza modelli vettoriali e si basa sulle proprietà elettriche dei tessuti senza l’utilizzo di costanti, equazioni e peso corporeo. Queste sue caratteristiche, unitamente al costo contenuto e alla rapidità di esecuzione, rendono la BIVA la tipologia di analisi bioimpedenziometrica maggiormante utilizzata per tutti quei  pazienti che presentano alterazioni delle funzionali renali e/o cardiache, oppure che si trovano in condizioni di estrema malnutrizione,  nonché per i pazienti oncologici e neurolesi,  che potrebbero avere difficoltà ad interagire correttamente o a sopportare esami troppo lunghi. Il referto include una rappresentazione grafica (i vettori) dei valori di resistenza e reattanza corporea normalizzati per l’altezza (nomogramma biavector e nomogramma biagram). Ciò permette quindi una valutazione dello stato di idratazione e nutrizione del soggetto peso-indipendente e senza un calcolo matematico dei dati sulla base della resistenza/reattanza rilevate, quindi senza il postulato del fattore di idratazione costante. Risulta quindi più utile in ambito clinico e nutrizionale e può servire anche per una validazione dei dati del BIA convenzionale.

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VALIDITA’ E FATTORI DI ERRORE

Il livello di errore “accettabile” per un’analisi della composizione corporea attraverso la bioimpedenziometria è < 3,5kg per gli uomini e < 2,5kg per le donne.
Il livello di accuratezza e precisione è influenzato soprattutto dalle variabilità intra-strumentali (taratura) e dalle variabilità inter-strumentali (diversi modelli).
Negli impedenziometri a monofrequenza può variare sensibilmente l’INTENSITA’ della corrente alternata (800:500 µA) anche con la stessa frequenza 50KHz, così come l’EQUAZIONE di PREDIZIONE (diversità dei software) e il tipo di CALIBRAZIONE (interna o esterna).
Gli impedenziometri a multifrequenza hanno prezzi certamente superiori di quelli a monofrequenza; utilizzano una tri-frequenza (5-50-100KHz) per misurare resistenza (R) e reattanza (Xc), ma trovano impiego soprattutto nella ricerca scientifica.


In definitiva, per ottenere misure utili alla valutazione della composizione corporea di un soggetto è necessario utilizzare SEMPRE lo stesso strumento e TARARLO SEMPRE prima dell’uso. Meglio utilizzare elettrodi con una superficie di 5cm2 e disporli in modalità a tutto corpo (distale/prossimale).

E’ opportuno specificare che esistono condizioni parafisiolofiche in grado di alterare la rilevazione della composizione corporea. La prima è lo stato di idratazione; è stato osservato che uno stato di digiuno solido e liquido da almeno 5 ore è in grado di modificare la rilevazione sul soggetto. Allo stesso modo, l’esercizio aerobico intenso può determinare una riduzione della resistenza (R) per squilibrio tra gli elettroliti corporei e l’acqua totale; un rapporto a favore degli elettroliti rispetto all’acqua determina una maggior conducibilità. Anche la temperatura corporea influisce significativamente sulla rilevazione con bioimpedenziometria; incrementandola si ha una riduzione della resistenza (R), pertanto, con piressia o ipertermia la bioimpedenziometria NON è attendibile. Infine, la cute sulla quale sono applicati gli elettrodi aumenta la sua conducibilità se pulita con alcol etilico.

Infine, errori di 1 cm nel posizionamento degli elettrodi nel corpo determinano una modifica della rilevazione pari al 2% del totale, così come la temperatura ambientale <14°C può compromettere la stima della massa magra fino a 2,2kg

Per ottenere dati attendibili e ripetibili, il soggetto dovrebbe:

  • ESSERE A DIGIUNO DA ALMENO 4 ORE
  • ESSERE ASTINENTE DALL’ESERCIZIO FISICO DA ALMENTO 12 ORE
  • AVERE LA VESCICA VUOTA
  • ESSERE ASTINENTE DA ALCOL DA ALMENTO 48 ORE
  • ESSERE ASTINENTE DA DIURETICI DA ALMENO 7 GIORNI

BIOIMPEDENZIOMETRIA vs PLICOMETRIA

La BIOIMPEDENZIOMETRIA è, come detto, una metodica incentrata sull’idratazione corporea. In base a questo dato, si ricavano informazioni circa la composizione corporea, e, per sottrazione, alla percentuale di massa grassa.

La PLICOMETRIA è invece una metodica incentrata sul grasso sottocutaneo. Viene rilevato lo spessore delle pliche cutanee in precisi punti del corpo mediante uno strumento, chiamato plicometro, da un operatore addestrato. Le pliche cutanee sono costituite da pelle e, per l’appunto, grasso sottocutaneo.
Tramite questi dati è possibile stimare la massa grassa corporea totale tramite diverse equazioni matematiche.

In entrambi i casi, quindi, MISURIAMO “qualcosa” grazie al quale STIMIAMO “qualcos’altro”, il quale ci consente, con delle assunzioni, di STIMARE la composizione corporea (finalmente).
Entrambe sono, per definizione, soggette ad errori.

Ma quindi qual’è più affidabile?
Per determinare quale delle due è più affidabile è necessario fare un confronto. Ma con cosa? La misura esatta della massa grassa la possiamo ottenere solo con l’autopsia. Meglio di no.
Nella letteratura scientifica il paragone viene spesso effettuato prendendo come riferimento i valori forniti da un’altra metodica più “potente”: la DEXA.
La DEXA è normalmente utilizzata per rilevare il grado di mineralizzazione ossea, ma fornisce informazioni interessanti anche per quanto riguarda la composizione corporea; con la DEXA il margine di errore è inferiore a quello di plicometria e bioimpedenziometria (vi sono meno assunzioni).
Non viene comunemente utilizzata per questo scopo perché è costosa, non portatile e leggermente invasiva (il corpo assorbe comunque una dose di raggi x).

Negli anni sono stati condotti diversi studi comparativi ma, a seconda della popolazione studiata e dei metodi utilizzati, ha prevalso la Plicometria o la Bioimpedenziometria.
Questo perchè è difficile standardizzare: nella Plicometria vi sono diverse equazioni predittive a nella Bioimpedenziometria varia proprio lo strumento utilizzato.
La scelta della metodica più appropriata varia da caso a caso: ad esempio la Plicometria è una modalità vincente nei bambini ma molto fallace nei grandi obesi.
Entrambe presentano vantaggi e svantaggi ma la grande discriminante è questa: nella Bioimpedenziometria è importante che sia buono lo strumento, nella Plicometria che sia buono l’operatore. Purtroppo sono rare entrambe.

MORALE DELLA FAVOLA

Le due metodiche sono diverse e non interscambiabili. Può essere utile effettuarle entrambe, ma i progressi devono sempre essere valutati considerandole come separate.
L’ideale sarebbe:
– esame Bioimpedenziometrico con una Bioimpedenziometria “seria” e verifica dei progressi utilizzando lo stesso strumento nella stessa condizione psicofisica
– esame Plicometrico effettuato da una persona qualificata e verifica dei progressi sempre con la stessa persona.

In ogni caso, ci tengo a specificare che un professionista che non utilizza il bioimpedeniometro non è un buono a nulla. Come abbiamo visto, questo ha più limiti che vantaggi, e il rischio nell’utilizzarlo è quello di perdersi dietro valori (nemmeno così attendibili) che potrebbero far perdere di vista la cosa più importante: i progressi del soggetto.

Da un’ananmesi precisa e puntigliosa, dal confronto di circonferenze e pliche e, soprattutto, dalle sensazioni del paziente allo specchio e tramite il vestiario, si riesce benissimo a capire se si sta andando nella direzione giusta o se sarebbe il caso di cambiare rotta.

Gli strumenti vanno saputi utilizzare. Eseguire un esame “che fa figo” in condizioni errate ( e viste le situazioni standard in cui dovrebbe essere svolto, non è raro che possa capitare) e con strumentazioni non idonee porterebbe solo a maggiore confusione.

Dietista Valentina Rossi

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