Si fa presto a dire, “ho le ossa grosse”, “non ci posso far niente, sono fatto così”, “è colpa del metabolismo lento, io non mangio niente e ingrasso comunque”.
Quante volte si sentono queste frasi, per giustificare anni ed anni di diete fallite e difficoltà a perdere peso? Moltissime, oserei dire troppe! Ma dal punto di vista scientifico, è davvero così? Esistono davvero persone con una massa scheletrica più prepoderante, o la difficoltà nel perdere grasso dipende da qualcos’altro?
LE OSSA GROSSA NON ESISTONO!
Togliamoci subito questo dubbio esistenziale: la cosiddetta costituzione robusta “ossa grosse” è un vero e proprio alibi utilizzato per giustificare uno stato di sovrappeso o addirittura obesità dovuto semplicemente a un eccesso di grasso.
Il peso delle ossa è pari a circa il 20% del peso corporeo (in un soggetto in peso forma), cioè circa 15 kg in un adulto di 75 kg. Anche ammessa (e non concessa) una variabilità individuale molto alta, pari al 15%, del peso delle ossa tra due persone della stessa altezza, stiamo parlando di 2 kg di differenza, e cioè uno scostamento dalla media di un peso veramente esiguo. In un soggetto che pesa ad esempio 60 kg, il peso dello scheletro è 12 kg ed ammettendo una variabilità individuale al 10 %, stiamo parlando di poco più di un kg di differenza.
Tali dati non giustificano dunque una differenza sostanziale nel peso forma: un soggetto che pesi 10 o 15 kg in più rispetto al peso forma, se dice che ciò dipende dalle “ossa grosse”, sta dicendo ovviamente una bugia.
Ossa grosse o semplicemente adipe)
Nonostante quello delle ossa grosse sia un vero e proprio mito, c’è una giustificazione purtroppo veritiera della differenza di perdita di peso tra due soggetti apparentemente identici, problema molto noto a chi è stato sovrappeso/obeso e vuole ora provare (o è già riuscito) a cambiare vita.
A parità di peso, due soggetti di pari altezza possono perdere peso molto diversamente. Durante l’anamnesi, una delle prime domande che pongo ai miei pazienti è: “Sei mai stato/a in sovrappeso?” e, se la risposta è affermativa, riusciamo effettivamente a dedurre quanti e quali problemi potranno principalmente svilupparsi.
Il grasso è l’organo che ci ha permesso di sopravvivere a tutte le sfide che la natura ci ha presentato nel corso dei secoli, quando il concetto di “casa” e “riscaldamento” erano una lontana fantasia e molto del tempo era speso cercando di ottenere cibo e un ambiente caldo.
La capacità degli adipociti (le unità funzionali del grasso) di replicarsi e la capacità di dare priorità ad altre cellule nei processi di dimagrimento troppo repentini, lo rendono un attore fondamentale della nostra sopravvivenza. Immaginate la situazione di un cacciatore-raccoglitore che per qualsiasi motivo non riesce a ottenere cibo per tanto tempo. Pensare, quel determinato contesto, di perdere grasso e mantenere il muscolo è utopico, semplicemente perché il muscolo consuma più del grasso, che invece funge anche da deposito energetico.
Trasliamo questa situazione ai giorni nostri e otteniamo lo stesso tipo di ragionamento quando si passa da regimi ipercalorici o eucalorici a regimi esageratamente ipocalorici. La situazione che il nostro corpo deve affrontare è similare, se la prendiamo solo dal punto di vista dietetico, e la risposta sarà la medesima: il grasso tenderà a mantenersi dando priorità alla degradazione muscolare.
Un concetto essenziale e da tenere bene a mente è che gli adipociti non muoiono, non vanno incontro a necrosi. Sono dei sacchi che si riempiono quando si ingrassa, si moltiplicano, proliferano. Quando si dimagrisce, questi “sacchetti” si svuotano, ma non vanno incontro ad autodistruzione se non in casistiche particolari sotto stimoli ancora più particolari. Anche da vuoti, gli adipociti continuano a esercitare il loro effetto che è estremamente vario a livello endocrino.
Parliamo di tessuto adiposo
Il grasso è progettato per “proteggerci” dalle carestie e dalla scarsità di cibo, dando la precedenza alla degradazione muscolare nei dimagrimenti troppo veloci. Gli effetti di una passata obesità si riflettono in una capacità di dimagrimento peggiorata a causa dei numerosi effetti endocrini che gli adipociti continuano a esercitare.
La nostra capacità di alternare l’ossidazione di grasso o di carboidrati viene definita flessibilità metabolica, e può essere allenata attraverso manipolazioni dietetiche e allenanti.
La capacità del corpo di alternare tra metabolismo glicolitico e ossidativo è una delle conseguenze più rilevanti dell’aver avuto un passato di sovrappeso. I meccanismi sottostanti a questa alternanza risultano infatti particolarmente alterati anche negli anni successivi. Questo cambiamento di substrato, che avviene in modo estremamente efficace in chi ha seguito allenamenti variati e ragionati, non risulta così efficiente in individui con un passato di obesità.
Chi, ad esempio, ha una buona flessibilità metabolica e pesa 80 kg può pensare di prendere peso “pulito” con una dieta da 3500KCAL con macro equamente distribuiti e magari una leggera ciclizzazione.
La stessa persona di 80 kg, con 3500kcal e macronutrienti equamente distribuiti farà sicuramente più fatica a rimanere pulito, e in qualche caso si andrà incontro al disastro che tutti conosciamo, cioè aumentare di peso con predominanza di grasso.
Teniamo presente che stiamo parlando in questo caso solo di ottica nutrizionale, e non correttiva con l’allenamento.
Ma non è finita qui: parità di dieta e composizione corporea, una persona con un passato di obesità porterà a lungo termine gli strascichi di sensibilità insulinica peggiorata, e quindi di flessibilità metabolica poco efficiente.
Dai dati di innumerevoli ricerche scientifiche sappiamo che siamo in grado, attraverso fattori come la dieta e l’attività fisica, di imprimere sul nostro DNA delle piccole modifiche in grado di influenzare poi il prosieguo della nostra esistenza: si chiama epigenetica ed è un campo di ricerca che negli ultimi anni ha avuto il suo boom per quanto riguarda le scoperte sull’influenza che ha il cibo che ingeriamo sul nostro corredo genetico. Senza illuderci di aver trovato l’ennesimo Sacro Graal, possiamo ragionare su questo: possiamo identificare quali sono i fattori influenti e quanto possono esserlo effettivamente. Intanto, i cosiddetti set-point adiposi, cioè il livello di grasso a cui il nostro corpo spontaneamente tende a portarsi, viene influenzato da:
Alimentazione della madre durante la gravidanza;
Percentuale di grasso durante l’infanzia, fino agli 8-10 anni nello specifico;
Percentuale di grasso durante gli anni passati e per quanto tempo è stata mantenuta.
Inoltre, dei fattori che risultano evidenti dalla letteratura disponibile sono:
Le alterazioni cognitive che l’obesità o il sovrappeso causano e che perdurano anche molti anni dopo l’avvento di un dimagrimento;
L’influenza della dieta occidentale molto ricca di sapori altamente stimolanti, in grado di alterare i recettori presenti sul tessuto adiposo, che si è visto diventare ancora più sensibili dopo un passato di obesità;
L’essere stati obesi o in sovrappeso porta ad alterazioni cognitive del controllo dell’introito calorico che rende molto pericolose le ricariche di carboidrati.
Ed ancora, la passata obesità/sovrappeso hanno influenze sia biochimiche che mentali, e giocano un ruolo che spesso ci porteremo dietro tutta la vita nel nostro rapporto col cibo.
Ossa grosse, Cosa di può fare?
La filastrocca è sempre la stessa: tramite una corretta manipolazione dietetica/allenante e col passare degli anni è possibile ristabilire l’equilibrio “perduto”. Tutto ciò deriva dal fatto che sappiamo per certo che l’esercizio fisico ben calibrato e la dieta sufficientemente ricca di stressor riescono ad agire sui fattori ormonali e su tutti i meccanismi coinvolti. Tuttavia dobbiamo avere l’accortezza di stabilire alcune variabili che saranno molto utili nel nostro percorso.
In primis, per capire la “gravità” del set-point è utile capire quando si è verificato “l’intoppo”, cioè quando la persona è stata in sovrappeso, o se la madre è stata esposta a carestia o al contrario se è stata sovrappeso durante la gravidanza. Una volta identificato quando si è verificato e di che entità è stato, potremo fare una stima sulla difficoltà e sugli step con cui procedere. Un sovrappeso mediato dai genitori è molto più lieve, in linea di massima, di uno maturato in 20 anni di “pratica”. Il primo avrà un’origine biochimica più facile da ricalibrare con l’alimentazione, il secondo necessiterà anche di soluzioni psicologiche.
Cosa fare?
Un percorso possibile sarà quindi:
Ricomposizione corporea nella migliore maniera possibile;
Sostituzione mentale dei cibi spazzatura in regime eucalorico con cibi più sani (rieducazione del palato);
Aumento della massa muscolare se possibile con esercizi ad hoc di rimobilizzazione;
Rimozione chirurgica del grasso in eccesso;
Fase di riadattamento (da 1 a 3 anni)
Nell’ultima fase, si noterà uno squilibrio evidente tra ciò che il cervello percepisce come “il nostro peso” e il peso reale del corpo. Il set-point cerebrale continuerà a considerare i kg di adipociti, generando stimoli di sazietà molto diversi rispetto a quelli che si manifesteranno una volta che il tempo avrà riequilibrato i percorsi sopra menzionati.
Il corpo funziona essenzialmente in due modi: tramite la quantità di adipociti che agiscono come una protezione e attraverso gli stimoli inviati al cervello. La rimozione chirurgica riduce significativamente la stimolazione endocrina proveniente dagli adipociti, ma non elimina immediatamente i segnali dall’ipotalamo, che richiederanno tempo per ricalibrarsi.
Un’altra soluzione
Considerando sempre l’unicità di ogni individuo, voglio concludere con alcuni consigli pratici per chi è stato in sovrappeso e punta a raggiungere risultati estetici eccellenti:
Variare le diete in modalità progressiva e non utilizzare variazioni eccessivamente drastiche se non si è già “fit” o sotto il 15% da più di 2 anni.
Cercare di utilizzare approcci a predominanza mono-substrato, cioè ad alti carboidrati o ad alti grassi;
Arrivare a diete ipercaloriche con macronutrienti (carboidrati e grassi) equamente distribuiti solo dopo molte prove e tentativi per non vanificare parecchi mesi di lavoro;
Utilizzare l’allenamento come jolly nella variazione dietetica: allenamenti fortemente glicolitici per migliorare la sensibilità insulinica quando è il momento di preparare il corpo a dosi maggiori di carboidrati;
Fare particolare attenzione se si utilizzano regimi low-carb che prevedono ricariche di carboidrati : questi rappresentano un trigger molto forte per l’ipotalamo abituato ad abbuffate, pertanto è possibile che lascino strascichi di appetito aumentato per molti giorni seguenti, rendendo l’aderenza alla dieta molto più complicata.
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Al giorno d’oggi, la cellulite è una delle principali preoccupazioni tra le donne. Sebbene sia un problema molto comune, la sua comprensione e il relativo trattamento risultano complicati a causa della fisiopatologia non del tutto chiarita.
In questo articolo esploreremo le caratteristiche dei tessuti colpiti dalla cellulite, le possibili cause e concause, con un focus particolare su come modificare il nostro stile di vita per affrontarla.
CELLULITE: IDENTIFICHIAMO IL PROBLEMA
Dal punto di vista medico, la cellulite è conosciuta come “Panniculopatia edemato-fibro-sclerotica”, un termine che descrive accuratamente i suoi aspetti clinici: sofferenza del tessuto sottocutaneo (panniculopatia) con alterazioni del tessuto linfatico e accumulo di liquido interstiziale (edemato), evoluzione fibrotica e sclerotica del tessuto adiposo e connettivale (fibro-sclerotica).
Sono stati identificati alcuni fattori chiaramente coinvolti nella sua formazione e degenerazione, ma su molti altri permangono dubbi e dibattiti. Si parla di correlazione con alcuni fattori, ma non di causalità: dal punto di vista scientifico, questa è una distinzione fondamentale.
Poiché le cause non sono ben definite, le indicazioni sulla prevenzione e cura della cellulite sono spesso contrastanti.
CELLULITE: CLASSIFICAZIONE
La cellulite può essere classificata universalmente più utilizzata in ambito medico è quella che la differenzia in 4 stadi di crescente gravità del quadro clinico:
Alterazione del microcircolo con vasodilatazione ed alterazione della permeabilità dei capillari, che porta a trasudazione peri-capillare e intra-adiposa. Parte dell’acqua fuoriesce dai capillari e invade lo spazio interstiziale tra le cellule adipose, allontanandole le une dalle altre e dai capillari stessi.
Edema, che provoca cambiamenti metabolici che determinano iperplasia e ipertrofia della rete reticulare, portando alla formazione di depositi peri-capillari e peri-adiposi con relativo aumento della viscosità interstiziale. Il tessuto adiposo perde la sua normale architettura a nido d’ape e vengono alterati i suoi scambi nutritizi con il microcircolo. Se l’edema persiste e si cronicizza, il ristagno dei liquidi e scorie irrita il tessuto adiposo fino a modificarne la biochimica e la struttura, fino alla morte delle cellule adipose.
Il tessuto connettivo diventafibroso, con la formazione di fibrille reticolari intorno alle cellule adipose e ai capillari, finchè le fibrille inglobano aree di tessuto morto, formando micronoduli di collagene.
L’aggregazione di micronoduli porta alla formazione di macronoduli; in questo stadio finale vi è una profonda alterazione del tessuto, gli adipociti si trasformano in fibrociti e nel tessuto adiposo si ritroveranno solo fasci connettivali.
Gli stadi 3 e 4 non sono trattabili se non con trattamenti medici, perchè gli adipociti, risultando metabolicamente inattivi, non rispondono agli stimoli lipolitici ricevuti per via nervosa o sanguigna.
Negli stadi iniziali, invece, l’intervento può essere finalizzato a rimuovere i fattori che predispongono e aggravano il fenomeno.
Sebbene sia stata riscontrata in entrambi i sessi, la cellulite si manifesta più frequentemente nelle donne, specialmente dopo la pubertà, e nelle persone in sovrappeso e obese.
I motivi per cui si tratta di una problematica prettamente femminile sono essenzialmente 2:
Differenze anatomiche della cute tra i due sessi
Influenza negativa degli estrogeni
Il tessuto sottocutaneo delle cosce, in particolare, ha una struttura di base differente tra uomo e donna. In queste ultime, l’epidermide è più sottile, la parte superficiale è più spessa, le cellule adipose sono più larghe con setti di tessuto connettivo che decorrono in modio radiale, a formare una struttura a nido d’ape; negli uomini invece sono più piccole, intervallate da setti incrociati di tessuto connettivo.
Nelle donne il corium, connettivo che separa derma e sottocutaneo, è più sottile e con l’avanzare dell’età tende ad assottigliarsi ulteriormente, perdendo consistenza e permettendo la protusione delle cellule adipose nel derma. Anche i tralci connettivali che delimitano le aree contenenti le cellule adipose diventano più sottili, determinandone l’allargamento.
La rottura o l’assottigliamento del tessuto connettivo è un fattore molto importante nello sviluppo della cellulite, ed è responsabile della tipica sensazione di “granulosità”.
Il fenomeno della “buccia d’arancia” è dovuto all’alternarsi di depressioni e protusioni dello strato superficiale del tessuto adiposo, per la sporgenza degli adipociti nel derma.
Nel tessuto sottocutaneo possono formarsi dei noduli contenenti adipociti alterati, circondati da una capsula di connettivo sclerotico povero di vasi.
Per quanto riguarda gli estrogeni, vi sono evidenze per loro implicazione nell’insorgenza, aggravamento e persistenza della cellulite. La sua maggiore incidenza nel sesso femminile, la sua comparsa a partire dalla pubertà, il suo peggioramento con la gravidanza, con il ciclo mestruale, con l’utilizzo di contraccettivi ormonali, sono addotti come elementi a supporto di tale ipotesi.
Inoltre, la cellulite si manifesta soprattutto nella parte inferiore del corpo, dove i recettori per gli estrogeni risultano essere più numerosi.
CELLULITE, FATTORI PREDISPONENTI
ORIGINE ETNICA: le donne bianche mostrano una predisposizione maggiore.
FAMILIARITA’: in modo particolare, le sindromi endocrino-metaboliche ereditarie e le insufficienze vascolari degli arti inferiori.
STRUTTURA CORPOREA: alterazioni posturali e del rachide vertebrale.
SQUILIBRI ORMONALI: in pazienti che soffrono di alterazioni funzionali ormonali, in pazienti che consumano progestagen o alimenti a base di ormoni
DISTURBI DIETETICI: eccesso di zuccheri e grassi
DISTURBI DIGESTIVI: in particolare quelli associati ad alterazione della flora intestinale
SESSUALITA’: è una delle attività fondamentali della vita, la pari dell’alimentazione, del sonno e della respirazione, affinchè le normali funzioni metaboliche avvengano correttamente
STILE DI VITA: è necessario un adeguato equilibrio tra dieta, evacuazione, sonno, lavoro ed esercizio fisico
COMPRESSIONE ESTERNA: abiti stretti, jeans e tubi elastici non necessari ostacolano il sistema linfatico e/o il sistema di microcircolazione cutanea, favorendo così la patologia da ipossia metabolica
INFEZIONI: possono causare danni ai tessuti, che a loro volta provocheranno alterazioni strutturali tissutali e fibrosclerosi
FUMO: rallentando la microcircolazione nelle arterie cutanee ed essendo quindi lipogenetico, genera ipossia cutanea, nota come buccia d’arancia. Anche se la stimolazione ormonale e tiroidea indotta dal fumo attiva adrenalina e noradrenalina e accelera i processi catabolici dei tessuti, favorendo così la lipolisi a livello sottocutaneo, dovrebbero essere valutati anche i danni permanenti nell’interstizio a causa di un eccesso di radicali liberi.
ASSUNZIONE DI ESTRO-PROGESTINICI: generano edema endoteliale e attivano reazioni Fenton (Fe-Ca). Il processo genera inevitabilmente una qualche forma di lipedema e lipolinfedema, che a loro volta portano a lipodistrofia.
CELLULITE, FATTORI AGGRAVANTI
OBESITA’ E SOVRAPPESO: tutte le forme di sovrappeso sono caratterizzate da un aumento di grasso nei tessuti sottocutanei; nei normali scambi interstiziali e microcircolatori, le cellule adipose interferiscono con l’acqua, l’ossigeno e gli ioni proteici, scatenando processi che alterano l’interstizio a causa dell’iperinsulinemia.
ASSUNZIONE DI ORMONI: in particolare gli estro-progestinici, generano alterazioni tipiche, sia a livello del feedback endocrino-ipofisario, sia a livello del recettore periferico, dando origine a lipogenesi, lipedema, e perdita di calcio nelle pareti venose e linfatiche, con concomitante aumento della permeabilità capillare e alterazioni nelle reazioni di ossido-riduzione del tessuto.
ALTERAZIONI ANATOMICHE: alterazioni posturali e dell’andatura interferiscono con i normali processi metabolici e circolatori. Ad esempio, la presenza di iperlordosi può causare un anteriorizzazione degli organi addominali, con conseguente compressione di vene e vasi linfatici.
CARENZE DIETETICHE: diete povere di proteine, vitamine e fibre provocano ristagno di feci e dilatazione dell’ampolla rettale, con compressione delle vene iliache e conseguente ostacolo del flusso venoso e linfatico negli arti inferiori.
Dall’analisi dei fattori che concorrono alla genesi e alla degenerazione della cellulite si possono trarre utili indicazioni, soprattutto relativi allo stile di vita.
E’ infatti ovvio che migliorare la composizione corporea e lo stato di salute avrà una ripercussione positiva su tutto l’organismo, e contribuirà a prevenire la formazione del disturbo o ridurlo se in stato iniziale.
Inoltre, poichè gli avvallamenti che caratterizzano la cellulite sono tanto più evidenti quanto maggiore è il grasso sottocutaneo e la flaccidità dei tessuti sottostanti, la riduzione della massa grassa e l’aumento della massa magra sono le strategie più efficaci per intervenire.
I suggerimenti e i consigli che si possono dare sono dunque gli stessi che in genere si danno anche in assenza di cellulite: si tratta di impostare alimentazione, allenamento e riposo per ottenere una miglior composizione corporea. A questo, come vedremo, è possibile aggiungere indicazioni specifiche per il miglioramento del microcircolo e del drenaggio linfatico.
Prima cosa da sottolineare: non esistono alimenti che contrastano la cellulite.
I risultati si ottengono curando gli aspetti quantitativi e qualitativi della propria alimentazione.
Nei soggetti in sovrappeso, la riduzione della cellulite si può ottenere attraverso un programma di dimagrimento. In questo caso, sarà importantissimo preservare la massa magra: l’inestetismo sarebbe infatti peggiorato da una condizione di ipotrofia muscolare.
Nei soggetti in normopeso si può intervenire curando gli aspetti qualitativi dell’alimentazione, garantendo un adeguato rapporto tra i macronutrienti e un adeguato apporto di micronutrienti che, come vedremo, sono fondamentali per la salute e quindi per contrastare una condizione, come quella della cellulite, correlata in gran parte anche ad un’alimentazione carente in uno o più di questi aspetti.
Il primissimo step per impostare un programma alimentare adeguato è personalizzarlo sulla base delle esigenze nutrizionali e dello stato metabolico individuale.
Consiglio di tracciare il cibo assunto, utilizzando una delle numerose app dedicate, per almeno 1 mese. A questo punto saremo in grado di stabilire se il consumo calorico è eccessivo, adeguato o insufficiente.
Nel primo caso si potrà procedere con un taglio calorico, se l’obiettivo è perdere grasso, nel secondo caso si dovrà agire sugli aspetti qualitativi di cui sopra, nel terzo caso bisognerà invece adottare una strategia di reset metabolico.
Una volta calcolati i macronutrienti per soddisfare i fabbisogni individuali, bisogna assicurarsi che i seguenti fattori siano verificati:
apporto di fibre di almeno 30 g/die;
adeguata idratazione;
apporto di zuccheri semplici limitato a 20% dell’apporto totale di carboidrati;
consumo del sale proporzionato alla quantità di acqua che si consuma; calcolare circa 500 mg di sodio per ogni litro d’acqua;
CELLULITE: INTEGRAZIONE
Il primo integratore veramente efficace contro la cellulite è.. l’acqua!
Questa ha solamente un difetto: è talmente scontata e poco costosa, che le persone pensano che non possa essere efficace.. non vi resta che provare per convincervi.
Altri integratori che consiglio come basilari per la salute sono un buon multivitaminico e il magnesio, quest’ultimo importantissimo per le donne anche per ridurre la sindrome pre-mestruale, e attenuare quindi i disturbi che tendono ad aggravare la cellulite in questa fase ormonale.
Risultano molto utili anche l’acido alfa-lipoico, per il suo effetto anti-ossidante, e la centella asiatica, che esercita un’azione normalizzante sul tessuto connettivo, di cui stimola l’integrità senza promuovere un’eccessiva sintesi di collagene.
ALLENAMENTO PER LA CELLULITE
Non esiste uno studio scientifico che abbia indagato il ruolo dell’allenamento nella riduzione della cellulite. Tuttavia, diversi studi suggeriscono che l’attività fisica sia una componente essenziale di uno stile di vita sano e utile per prevenirla e combatterla.
L’attività fisica intensa è strettamente correlata ai benefici del sistema linfatico. Poiché i ristagni linfatici causano un aumento della pressione nei capillari e, attraverso l’alterata permeabilità di questi, innescano i processi degenerativi tipici della cellulite, il miglioramento del drenaggio linfatico è una componente fondamentale. È intuitivo che l’attività fisica, aumentando l’impegno muscolare e circolatorio, possa contrastare il rallentamento del sistema di eliminazione dei liquidi e degli scarti metabolici.
Nei soggetti in sovrappeso, gli obiettivi di allenamento devono focalizzarsi sulla preservazione della massa muscolare durante il dimagrimento e supportare la dieta nella riduzione del grasso in eccesso.
Per raggiungere questo risultato, è necessario agire su più fronti:
Sarà inoltre fondamentale correggere eventuali problematiche posturali. Ad esempio, in caso di iperlordosi, è possibile intervenire correggendo l’antiversione tramite l’allungamento dei muscoli flessori dell’anca e degli estensori lombari, e il potenziamento dei glutei e dei muscoli del core addominale.
Nei soggetti normopeso, l’obiettivo sarà aumentare la massa magra. In questi casi, l’inestetismo è principalmente dovuto alla flaccidità dei tessuti e al basso tono muscolare. I tessuti flaccidi, sottoposti alla forza di gravità, hanno un effetto di compressione simile a quello che si ottiene strizzando la zona con le dita: aumenta la pressione sui lobi del tessuto sottocutaneo e la tensione dei setti trasversali. Per questa situazione, l’elettrostimolazione e l’esercizio fisico sono i trattamenti consigliati. Sono quindi appropriate tutte le strategie mirate all’ipertrofia muscolare, associate a una dieta normocalorica o leggermente ipercalorica per favorire lo sviluppo muscolare.
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