“Mangio la pasta integrale perchè da Barbara D’Urso hanno detto che fa dimagrire!”
È opinione diffusa che i cereali integrali siano un toccasana per la salute, mentre quelli raffinati vengono demonizzati.
Appena percepiamo che qualcosa è “salutare”, ci immergiamo in quella convinzione, riempiamo le nostre dispense di alimenti integrali e leggeri, e ci sentiamo in pace con noi stessi. Nel corso degli anni, diversi studi hanno dimostrato che le persone che iniziano a mangiare “sano” tendono, col tempo, ad aumentare le porzioni. Questo accade parzialmente perché i cibi meno grassi e con minori picchi insulinici offrono meno sazietà, e parzialmente perché siamo meno restrittivi con noi stessi, considerando che siano salutari.
Cibo sano= dimagrimento?
Mi dispiace comunicarvi una notizia spiacevole: tutto questo è una completa sciocchezza.
Ecco perché:
non c’è una grande differenza nel contenuto di amidi totali.
l’apporto calorico è quasi lo stesso
non c’è differenza per quanto riguarda l’indice glicemico (per quanto conti questo parametro).
Come mostra l’immagine, le differenze tra i cereali integrali e quelli raffinati in termini di fibre e macronutrienti sono minime. I cereali integrali sono solo leggermente meno calorici rispetto alla loro controparte raffinata, il che significa che sostituire i cereali raffinati con quelli integrali ha un impatto molto limitato sulla composizione corporea.
Esiste un piccolo vantaggio grazie al maggior contenuto di fibre: gli alimenti integrali risultano più sazianti rispetto a quelli raffinati, permettendo di sentirsi sazi consumandone una quantità leggermente inferiore.
Il punto è che potrebbe accadere che la convinzione di mangiare un “alimento buono”, un alimento sano, che fa bene, che è meno calorico, può anche portare la persona ad eccedere con le quantità, e questo è, chiaramente, controproducente.
“Tanto è integrale, posso mangiane di più!” Ed ecco che, a quel punto, la differenza tra raffinato ed integrale si azzera del tutto, insieme alle possibilità di perdere peso.
È una realtà difficile da accettare, lo so, ma è una trappola psicologica in cui è facile incappare.
Cibo integrale, quando e come inserirlo nella dieta
Ma allora il cibo integrale è da eliminare?
Assolutamente no!
I cereali integrali sono sicuramente più ricchi di micronutrienti, soprattutto vitamine del gruppo B, e, come detto in precedenza, essendo leggermente più ricchi di fibre, potrebbero avere un leggero potenziale saziante maggiore.
I cibi integrali offrono più micronutrienti rispetto ai raffinati, ma l’impatto complessivo sulla dieta è minimo. Questo perché i micronutrienti nei cereali hanno una bassa biodisponibilità. Per una dieta equilibrata che soddisfi tutti i fabbisogni di minerali e vitamine, è essenziale integrare con altri alimenti. Frutta, verdura, uova, pesce, prodotti caseari e carne hanno un impatto maggiore sull’apporto vitaminico e minerale.
Cibo integrale, perché TUTTI lo raccomandano?
Gli studi epidemiologici mostrano che il consumo di cereali integrali è correlato a un miglior stato nutrizionale e di salute, oltre a una riduzione del rischio di patologie croniche come malattie cardiovascolari, diabete e sindrome metabolica. Tuttavia, è importante ricordare che un’associazione non implica necessariamente una relazione causa-effetto. Non è dimostrato che riso integrale, basmati o pane integrale riducano direttamente il rischio di diabete o di eventi cardiovascolari. Piuttosto, le persone che includono carboidrati integrali nella loro dieta tendono a essere più sane rispetto a chi consuma carboidrati raffinati, considerando anche altri fattori alimentari e stili di vita non valutati negli studi.
Detto questo, se i cereali integrali non offrono vantaggi significativi rispetto ai raffinati, certamente non presentano svantaggi. Pertanto, è ragionevole consigliare il consumo preferenziale di alimenti integrali. Tuttavia, se questo consiglio dietetico influisce negativamente sulla compliance alla dieta per qualsiasi motivo, potrebbe essere più opportuno optare per i cereali raffinati, consapevoli che questi ultimi non sono dannosi e che gli integrali non apportano benefici così rilevanti.
Cibo integrale vs Cibo raffinato
Ci sono anche dei casi in cui è preferibile e raccomandabile assumere il raffinato piuttosto che l’integrale.
Tornando al maggior contenuto di fibre dei cerali integrali, questa fibra è rappresentata fondamentalmente dalla crusca, che in una certa quantità, su alcune persone in particolare, può creare un po’ di problemi intestinali (anche semplicemente gonfiore). Per cui per queste persone, e soprattutto per le persone che magari già hanno un contenuto altissimo di fibre da verdure, ortaggi e via dicendo, potrebbe essere utile non esagerare con l’integrale, in quanto se è vero che c’è un certo “fabbisogno” di fibre per stare in salute e per nutrire il microbiota, è anche vero che l’eccesso non ha mai dimostrato di far bene, anzi, sicuramente può creare malessere. Io, ad esempio, sono una di queste persone. Le quantità industriali di frutta e verdura bastano (e avanzano) per coprire il mio fabbisogno di fibra giornaliera, se mangiassi anche integrale, diventerei un palloncino!
Ancora, se i cereali integrali hanno un potere saziante un po’ maggiore, e questo in genere è un aspetto positivo perché le persone trovano molta più difficoltà a dimagrire mangiando “meno”, nei casi in cui i soggetti vogliono aumentare di peso o aumentare di massa muscolare e hanno un regolamento del comportamento alimentare con una sazietà ben responsiva, uno dei tanti trick può essere quello di sostituire, almeno in parte, i cereali integrali con quelli raffinati.
Linee guida generali per la scelta delle fonti di carboidrati
Assumere principalmente fonti di carboidrati complessi.
Preferire la frutta e assumere tanta verdura, per il loro grande contributo in fibre alimentari, in potere saziante, in micronutrienti e sostanze fitochimiche varie che hanno in qualche modo dimostrato di essere associate a buona salute e prevenzione delle patologie.
Non consumare sempre e solo cereali (e solo un tipo di cereale) per raggiungere l’apporto glucidico giornaliero della dieta, ma avvalersi anche di altri alimenti che sono anche più ricchi dal punto di vista dei micronutrienti, come i legumi. Non dimentichiamo mai che ogni alimento ha un pro e un contro, per cui il metodo della varietà alimentare è quello più saggio da seguire e da raccomandare.
Preferire sì l’integrale al posto del raffinato, ma tenendo ben presente che le differenze sono spesso esigue, e che questa indicazione non deve essere esaltata eccessivamente come una norma importante per dimagrire o per rimanere in salute.
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Iniziamo questo viaggio insieme, verso la tua consapevolezza alimentare.
Durante il tirocinio ospedaliero all’università, ci venne introdotto e insegnato un metodo innovativo per i pazienti con diabete di tipo 1. Questo metodo, noto come counting dei carboidrati, consiste nel calcolare la quantità di carboidrati assunti durante la giornata e la loro distribuzione, anche se inizialmente non con precisione (prima dell’avvento delle attuali app). È stato un enorme progresso per i pazienti diabetici che, in precedenza, dovevano seguire una dieta molto rigida basata esclusivamente sull’indice glicemico degli alimenti, con quantità e distribuzione dei carboidrati fisse da un giorno all’altro, per mantenere costanti i livelli di insulina.
Indice glicemico e diabete
Nel Diabete di Tipo 1, il trattamento standard è rappresentato dalla terapia con insulina secondo uno schema chiamato “basal bolus”, un modello che tenta di riprodurre l’andamento fisiologico della secrezione insulinica nelle persone non diabetiche e garantisce il fabbisogno insulinico basale con l’aggiunta di boli a ogni pasto per la metabolizzazione di quanto assunto con gli alimenti.
La dose corrispondente al bolo insulinico dipende da 4 fattori:
Sensibilità insulinica del soggetto
Glicemia pre-prandiale
Quantità di insulina residua in circolo proveniente da boli precedenti
Quantità di cibo assunta
Le prime tre variabili sono facilmente misurabili, ciò che resta da determinare è la quantità di cibo assunta.
Contare i carboidrati
Siccome il fabbisogno di insulina è legato in gran parte (MA NON SOLO) all’assunzione di carboidrati, stimando il contenuto glucidico degli alimenti consumati, si può calcolare la dose più o meno esatta di insulina da somministrare ad ogni pasto.
Naturalmente, è fondamentale che i pazienti imparino a calcolare il contenuto di carboidrati negli alimenti. Solitamente, si tende a considerare solo i cibi ad alto contenuto di carboidrati, come pane, pasta e frutta, trascurando spesso la quota glucidica presente in alimenti proteici come carne, pesce e latticini.
Questo è proprio uno dei limiti principali di tale metodo: parlare di insulina e guardare solo alla glicemia è totalmente errato, perchè la secrezione insulinica non dipende soltanto da questo fattore.
Il conteggio dei carboidrati, sebbene sia uno dei quattro approcci migliori per gestire il diabete, può essere influenzato dagli effetti sulla glicemia di un pasto misto contenente proteine e grassi.
Le proteine infatti sono in grado di stimolare la risposta insulinica e possono presentare effetti anche rilevanti sulla glicemia a distanza di 4-12 ore dal pasto.
I grassi e le fibre, invece, possono ulteriormente interferire con l’andamento glicemico post-prandiale, ritardando l’assorbimento dei carboidrati, riducendo di fatto la risposta glicemica; allo stesso modo, pasti ad alto contenuto lipidico sono in grado di indurre insulino-resistenza nelle 8-16 ore successive al pasto, per via del momentaneo eccesso di acidi grassi nel sangue.
INDICE GLICEMICO, DI COSA STIAMO PARLANDO
Nel conteggio dei carboidrati, si tiene conto di un parametro noto a molti: l’indice glicemico.
Che cos’è esattamente l’indice glicemico? Cosa misura? E’ da prendere in considerazione? E se sì, quando e quanto?
Per definizione, l’indice glicemico misura la risposta glicemica di un alimento contenente carboidrati confrontata con la risposta glicemica derivata dall’ingestione di 50 g di glucosio.
E’ un parametro utilizzato da diversi decenni in nutrizione e soprattutto in diabetologia per rendere più semplice la scelta di determinati alimenti; da anni, fino alla fine del Ventesimo secolo ( anche se, purtroppo, alcuni clinici continuano a ragionare in questi termini) il consiglio medico principale dato al soggetto diabetico era quello di limitare il consumo di zuccheri e carboidrati in genere; successivamente si è passati ad una maggiore tolleranza nei confronti dei carboidrati, pur facendo una netta distinzione tra zuccheri semplici e amidi.
Queste indicazioni derivano dall’ipotesi che gli zuccheri semplici, essendo digeriti più velocemente, avrebbero un impatto maggiore sulla glicemia rispetto ai carboidrati complessi.
La prima ricerca sull’indice glicemico (IG) risale al 1981. I partecipanti consumarono in diverse occasioni alimenti con vari tipi di carboidrati, mantenendo costante un apporto totale di 50 g di carboidrati. Le variazioni della glicemia furono poi monitorate due ore dopo l’assunzione.
Questa risposta glicemica venne confrontata con quella ottenuta dall’ingestione di 50 g di glucosio, usato come alimento di riferimento.
In base alle risposte medie dei soggetti, ai cibi furono assegnati valori numerici, con 100 come riferimento per il glucosio puro.
Da queste osservazioni sono state sviluppate strategie e diete che selezionano i cibi in base al loro indice glicemico (IG). In particolare, si considerano dannosi e fattori di rischio per l’obesità gli alimenti con alto IG.
DOVE STA L’INGHIPPO?
Ora, quanti di voi, nella vita di tutti i giorni, si sveglia e beve 50g di glucosio? E chi di voi, quando mangia del pane bianco, lo mangia da solo o tende ad accompagnarlo con altri cibi, tipo un filo d’olio o una fetta di prosciutto?
L’IG degli alimenti, derivato da quello studio, si stabilì a priori in laboratorio, misurando le risposte medie dei soggetti a stomaco vuoto, a riposo e di prima mattina, dopo il digiuno notturno, assumendo l’alimento con determinate grammature nette di carboidrati (50 g).
Indice glicemico: qualche considerazione necessaria
Da queste premesse, possiamo buttare giù un paio di considerazioni:
Se un alimento viene assunto in abbinamento con altri cibi, il suo indice glicemico avrà poco valore, in quanto l’impatto dell’intero pasto sulla glicemia è diverso da quello del singolo alimento di cui abbiamo valutato l’IG.
Ammesso e non concesso che l’alimento venga assunto da solo, ad esempio 50 g di pasta, senza proteine, senza grassi, senza alcun condimento, dovrei pensare che, se in precedenza ho ingerito qualche altro cibo, questo andrà ad influenzare la mia risposta glicemica, poichè influisce sulla mia digestione e assorbimento dei nutrienti.
Se mangio un alimento quando sono sotto stress, sto lavorando, lo sto facendo di fretta o più lentamente, masticandolo più o meno bene e per più o meno tempo, la differenza in termini di risposta glicemica sarà rilevante.
Lo stesso alimento, mangiato cotto o crudo, scotto o al dente, così come un frutto più maturo o più acerbo, avrà un IG differente.
In poche parole, l’unico modo per riscontrare una risposta glicemica corrispondente al valore di IG di quell’alimento, è in teoria quello di consumarlo in maniera isolata, di prima mattina, a digiuno e a riposo, riproducendo in maniera impeccabile le condizioni da laboratorio, cosa che è quasi impossibile nella vita di tutti i giorni.
Variabilità dell’IG sul singolo soggetto
L’IG presenta una notevole variabilità individuale, risultando più alto in persone con disturbi nel metabolismo del glucosio, come i diabetici o chi soffre di sindrome metabolica.
Ed è proprio questo il punto: l’indice glicemico e la risposta glicemica variano significativamente a seconda dell’individuo e del suo stato di salute.
Un diabetico che impara a conteggiare i carboidrati presterà maggiore attenzione all’Indice Glicemico, dato che questo influisce notevolmente sulla glicemia, pur con le dovute precauzioni.
Stiamo parlando di soggetti diabetici, che hanno come priorità quella di mantenere la glicemia stabile e controllata.
Se un “esperto” consiglia a una persona sana di eliminare le patate bollite a causa del loro indice glicemico di 96 o di evitare l’anguria per il suo indice glicemico di 72, è probabile che stiamo parlando di un ciarlatano!
Dobbiamo riconoscere l’importante impatto dell’attività fisica sull’indice glicemico: individui ben allenati registrano un indice glicemico significativamente inferiore rispetto ai sedentari per lo stesso alimento.
Se siete sportivi, se vi allenate con costanza, l’IG deve essere il vostro ultimo pensiero!
Se siete sedentari, in salute e desiderate perdere peso, ignorate l’IG e concentratevi su un allenamento adeguato e una dieta sana, equilibrata e personalizzata
Fonte: Project Diet, Daniele Esposito
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