CARBOIDRATI: CONOSCIAMOLI MEGLIO
In questo articolo parleremo dei carboidrati, uno dei tre macronutrienti che costituiscono gli alimenti che ingeriamo.
Vedremo quali sono i criteri per la loro classificazione, quali sono le differenze che contraddistinguono i diversi tipi di carboidrati e su che base preferire l’uno o l’altro tipo.
CLASSIFICAZIONE DEI CARBOIDRATI
I Carboidrati sono macromolecole composte da carbonio, idrogeno, ossigeno (CHO).
Il primo aspetto particolarmente importante da conoscere è che questi sono classificati in scienze dell’alimentazione umana in molti modi differenti tra loro.
È molto importante conoscere quanto meno le principali classificazioni,perché solo così potremo comprendere il significato delle indicazioni generali dell’OMS, le linee guida generali delle varie Agenzie Nazionali e Internazionali, e anche le principali strategie alimentari che possono essere utilizzati nel contesto dell’alimentazione.
1° CLASSIFICAZIONE: GRADO DI POLIMERIZZAZIONE
La prima classificazione che viene adoperata per distinguere i vari tipi di carboidrati è quella che riguarda il Grado di Polimerizzazione.
Un polimero è una molecola molto grande composta da varie unità più piccole denominate monomeri. Più monomeri vanno a costituire quello che è un polimero.
Il grado di polimerizzazione è, dunque, la quantità di monomeri che costituiscono il singolo polimero (la macromolecola).
Avremo quindi dei carboidrati, polimeri, composti da più unità legate tra loro con legami chimici particolari.
In questa classificazione quindi troviamo:
– Monosaccaridi, che rappresentano il singolo zucchero. – Disaccaridi, molecole composte da 2 soli monosaccaridi legati tra loro.
– Oligosaccaridi, molecole composte da catene di 3-10/20 monosaccaridi legati tra loro.
– Polisaccaridi, molecole particolarmente grandi composte tanti monosaccaridi legati tra loro.
2° CLASSIFICAZIONE: SEMPLICI E COMPLESSI
Un’altra classificazione, che poi peraltro è quella più diffusa e più comune nelle Scienze della Nutrizione, è la classificazione che prevede una distinzione dei vari tipi di carboidrati in carboidrati complessi e zuccheri semplici.
I carboidrati complessi comprendo l’amido e il glicogeno.
L’amido è il polisaccaride di riserva delle cellule vegetali; è quindi una catena polisaccaridica composta da tantissime molecole di glucosio legate tra loro con un legame glicosidico.
Il glicogeno è semplicemente il corrispettivo dell’amido ma per le cellule animali.
Per quanto riguarda gli zuccheri o zuccheri semplici, possiamo distinguerli, integrando la classificazione precedente in funzione del grado di polimerizzazione, in disaccaridi e monosaccaridi.
Tra i disaccaridi troviamo sicuramente il saccarosio (il comune zucchero da cucina), che è composto da una molecola di glucosio e da una molecola di fruttosio.
Il maltosio, che è lo zucchero del malto ed è composto da due molecole di glucosio legate tra loro, e il lattosio, che è il comune zucchero del latte ed è costituito da una molecola di glucosio e una molecola di galattosio.
Per quanto riguarda i monosaccaridi in realtà li abbiamo già conosciuti indirettamente parlando dei disaccaridi, in qunato sono proprio quelle singole molecole saccaridiche (zuccheri) che insieme compongono il disaccaride. Per cui tra i disaccaridi troviamo il glucosio, il fruttosio, il galattosio, e tanti altri.
3° CLASSIFICAZIONE: DISPONIBILI E NON DISPONIBILI
Questa classificazione, che potrebbe essere anche tradotta con “carboidrati digeribili” e “carboidrati non digeribili” è molto importante, soprattutto per quanto riguarda la questione delle modificazioni della composizione corporea.
Tra i carboidrati non disponibili troviamo la categoria delle fibre alimentari, l’amido resistente, che è una parte dell’amido che può essere già presente in natura o formarsi in seguito a metodi di preparazione e cottura degli alimenti e che non è digeribile.
Infine, abbiamo i dolcificanti cosiddetti ipo- o a-calorici.
I carboidrati disponibili sono invece quelli che abbiamo visto fin dall’inizio, quindi gli amidi, i disaccaridi come lattosio, saccarosio, maltosio, i monosaccaridi come glucosio e fruttosio.
Insomma, questi sono tutti zuccheri che apportano calorie perché sono digeribili e assorbibili dal nostro tratto gastrointestinale.
FABBISOGNO DI CARBOIDRATI
Siamo abituati a sentir parlare di amminoacidi e grassi essenziali, ma questo cosa vuol dire, che i carboidrati sono un macronutriente meno importante?
Nell’alimentazione, i carboidrati non vengono considerati essenziali, ma necessari: la malnutrizione proteica si verifica dopo mesi, senza zuccheri in poco tempo si muore.
L’essere umano non può vivere senza glucosio, per questo è necessario: se non avessimo potuto procurarcelo ci saremmo già estinti.
COSA SUCCEDE SE LIMITIAMO ECCESSIVAMENTE I CARBOIDRATI?
- Si verificano scompensi metabolici. La leptina, ormone importantissimo secreto dal nostro tessuto adiposo, è regolata sul metabolismo glucidico adipocitario. mangiare pochi carboidrati porta ad una sua riduzione, con ripercussioni importanti sugli ormoni tioridei e gonadici.
- Si limita la crescita muscolare. La sintesi proteica è un processo che richiede un surplus calorico; lo stato energetico cellulare è governato anche dai depositi di glicogeno, e le diete low carb abbassano i valori delle scorte muscolari, limitando dunque la sintesi proteica.
QUAL E’ IL FABBISOGNO GLUCIDICO?
In condizioni basali il fabbisogno glucidico si aggira intorno ai 180 g al giorno (2,5 – 2,6 g/Kg peso corporeo), e può aumentare a seconda dell’attività lavorativa e sportiva che la persona svolge.
Mediamente, il consumo giornaliero può arrivare a 210 – 220 g per chi non fa lavori particolarmente pesanti nè attività sportiva ( 3 – 3,2 g/ Kg peso corporeo).
Queste quantità sono molto individuali, potrebbero quindi variare in base al tipo di soggetto. Ad esempio, alcuni soggetti insulino-resistenti potrebbero necessitare di quantità inferiori di carboidrati per un certo periodo di tempo proprio per migliorare la tolleranza al glucosio e di conseguenza la sensibilità insulinica, così come uno sportivo avrà probabilmente bisogno di quantità nettamente maggiori.
MEGLIO I CEREALI INTEGRALI O I RAFFINATI?
È credenza comune che i cereali integrali siano la panacea di tutti i mali mentre i raffinati sono il demonio in persona. Ma come stanno le cose realmente? In realtà:
– non c’è una grande differenza nel contenuto di amidi totali.
– non c’è una grande differenza per quanto riguarda l’apporto calorico
– non c’è una grande differenza per quanto riguarda l’indice glicemico
Proprio perché non ci sono queste grandi differenze dal punto di vista delle fibre e dei macronutrienti, in realtà i cereali integrali sono solo leggermente meno calorici della stessa controparte raffinata, e questo significa che, soprattutto dal punto di vista delle modificazioni sulla composizione corporea, sostituire i raffinati con l’integrale è un intervento a bassissimo impatto.
Un piccolissimo vantaggio si potrebbe avere solo perché i cereali integrali in genere sono un po’ più sazianti.
Attenzione però la convinzione di mangiare un “alimento buono” può anche portare la persona a eccedere con le quantità.
QUALI SONO ALLORA LE DIFFERENZE?
- I cereali integrali sono sicuramente più ricchi di micronutrienti, soprattutto vitamine del gruppo B.
- I cereali integrali sono leggermente più ricchi di fibre e potrebbero avere un potenziale saziante maggiore
Circa i macronutrienti ci sono da fare delle puntualizzazioni: i cereali, in generale, non sono alimenti ad alta qualità nutrizionale, ma sono piuttosto alimenti energetici, perché apportano molte calorie e, in proporzione, pochi micronutrienti.
Per cui il fatto che gli integrali apportino più micronutrienti dei raffinati ha in realtà un basso impatto sul totale della dieta, in quanto questo apporto maggiorato è minimo e non rilevante, soprattutto considerando il fatto che i micronutrienti presenti nei cereali sono a bassa o bassissima biodisponibilità.
Questo significa che per risolvere delle carenze o avere una dieta equilibrata che soddisfi tutti i fabbisogni anche in minerali e vitamine è bene avere una dieta varia che si basi non solo sui carboidrati (integrali o raffinati che siano) ma piuttosto su altri alimenti che possono avere un impatto sull’apporto vitaminico o mineralico molto maggiore (e parliamo ovviamente di alimenti vegetali come frutta e verdura ma anche, soprattutto per alcuni specifici nutrienti, di alimenti animali, come le uova, il pesce, i prodotti caseari e la carne).
QUAL E’ LA DIFFERENZA TRA ZUCCHERI E ZUCCHERI AGGIUNTI?
Dal punto di vista chimico e nutrizionale, non vi è alcuna differenza!
Gli zuccheri presenti nella frutta e nella verdura sono esattamente gli stessi zuccheri che possiamo trovare nella Coca-Cola, nelle altre bevande zuccherate, nelle merendine, nel gelato e negli altri alimenti industriali.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità e anche le altre Agenzie Nazionali e Internazionali che si occupano di stilare le linee guida e le raccomandazioni per la popolazione generale in termini di assunzione alimentare, specificano “zuccheri aggiunti” per distinguerli, solo didatticamente, dagli zuccheri naturalmente presenti negli alimenti, di cui ad esempio la frutta e molte verdure e ortaggi potrebbero esserne ricchi.
Dunque l’obiettivo di queste linee guida è quello di sensibilizzare le persone a consumare sempre meno gli alimenti industriali e le bevande zuccherate.
Non è lo zucchero in sé a far male ma piuttosto l’eccesso calorico che più facilmente si viene a creare dolcificando, troppo, gli alimenti e le bevande e consumando troppi alimenti industriali.
MEGLIO LA PASTA, IL PANE O LE PATATE?
L’argomento è complesso e ricco di cose da tenere in considerazione.
Per effettuare una prima scrematura, prendiamo in considerazione i processi di lavorazione a cui gli alimenti sono sottoposti: più un cibo è processato, più perde i suoi valori nutrizionali, oltre a venire facilmente a contatto con sostanze non semore salutari.
Da questo punto vista, la pasta è la sfavorita, mentre le patate, essendo naturali al 100%, sarebbero da preferire.
Un altro punto che potremmo prendere in considerazione è la densità energetica: i cereali sono prodotti disidratati, che solo con la cottura richiamano acqua. La patata invece è un alimento molto idratato e poco calorico, la cui cottura ( solo se bollita o a vapore) non altera l’idratazione.
A parità di peso, 100 g di pasta o riso apportano oltre il triplo delle calorie rispetto alla patata. E’ vero che questo tubero possiede un indice glicemico superiore rispetto a quello dei cereali, ma in rapporto il carico glicemico rimane inferiore, data la quantità di acqua e fibre al suo interno.
Non dimentichiamoci che la qualità dell’alimento si basa sul suo rapporto tra calorie e micronutrienti. Da questo punto di vista pasta, riso e patate non sono propriamente alimenti “vincenti”. Anche la versione integrale, come abbiamo visto, seppur ricca di minerali, ha in realtà una bassa biodisponibilità degli stessi data proprio dal maggior contenuto di fibre che li chelano.
Per concludere, il vero vincitore di questa diatriba è solamente uno: la varietà.
Se mangiamo sempre gli stessi alimenti, enfatizzeremo i vantaggi, ma anche gli svantaggi, di uno o dell’altro. Il vero segreto nella scelta delle fonti glucidiche sta nello scegliere quello che più ci piace, cercando di variare il più possibile le fonti: nessun alimento è migliore di un altro, ricordiamolo sempre.
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