da Valentina Rossi | Mag 29, 2020 | Alimentazione
Che siamo a dieta o meno, l’attacco di fame è sempre dietro l’angolo. La noia, il nervosismo, il non avere nulla da fare, sono i principali responsabili dei raptus famelici che ci portano a svuotare la dispensa. Ma che cos’è l’attacco di fame? A cosa è dovuto? E soprattutto, esistono modi per vincere gli attacchi di fame definitivamente?
Scopriamolo insieme!
ATTACCHI DI FAME: COSA SONO
Prima di capire come vincere gli attacchi di fame, dobbiamo prima descriverli e cercare di comprenderne i meccanismi che ci sono alla base.
Per comprendere che cos’è un attacco di fame, dobbiamo partire dalla situazione in cui questi si verificano con maggior frequenza: la dieta.
Iniziamo da una affermazione: ogni dieta, se sottostà ad un deficit calorico, FUNZIONA. Quando leggiamo “questa dieta è migliore di quest’altra”, si tratta semplicemente di strategia di marketing. La dieta perfetta non esiste, e l’unico modo per dimagrire o non mettere peso è quello di essere in deficit o in normocalorica. Non esistono alimenti magici, non esistono diete miracolose, esistono solamente le calorie e il fabbisogno di ognuno di noi.
Stare a dieta comporta però tutta una serie di adattamenti che il nostro corpo attua, perché semplicemente non si sente a suo agio: gli stiamo dando meno calorie di quelle che realmente necessita, e per questo farà di tutto per farci mangiare. Tra questi meccanismi, troviamo anche gli attacchi di fame.
PERCHE’ CHI E’ A DIETA HA GLI ATTACCHI DI FAME?
Principalmente per 2 motivi (e mezzo):
Il primo riguarda la fame vera e propria. Che dobbiamo poi distinguere tra FAME E APPETITO.
LA FAME è il messaggio fisiologico che il nostro cervello ci invia per segnalare un deficit energetico, come per dirci: ho bisogno di nutrirmi.
La natura, che è molto intelligente, ha regolato la nostra fame anche e soprattutto a seconda del nostro tessuto adiposo. Quando dimagriamo, il nostro adipocita si sgonfia. In questo modo, l’adipocita secerne meno LEPTINA, che è un’ormone centrale sia per il nostro metabolismo, che per il senso di sazietà. Quindi noi sentiamo molto di più la fame nel momento in cui l’adipocita si sgonfia perché stiamo dimagrendo.
In ogni caso, non è solo la leptina a regolare il nostro senso della fame. Quando mangiamo, ci sono degli ormoni gastrointestinali, che vanno a mediare il senso di sazietà. Non solo. Anche le stesse pareti dello stomaco che si allargano quando ingeriamo del cibo, ci segnalano sazietà. Quando stiamo a dieta, mangiando meno, riusciamo ad avvertire meno la sazietà. Allora nelle diete normalmente, si va ad aumentare la quota di alimenti a bassa densità energetica, che sono principalmente frutta e verdura, in modo che lo stomaco risulti sempre bello pieno e dovremmo avvertire un senso di sazietà. Questo purtroppo avviene soprattutto nel primo periodo.
Poi succede che, col passare del tempo, non avvertire più solamente la sensazione di fame, ma anche e soprattutto l’APPETITO. E questo è il 2 motivo per cui abbiamo i nostri attacchi di fame.
L’APPETITO non è un’esigenza organica, non stiamo morendo di fame. Riguarda di più la gratificazione che abbiamo quando mangiamo. L’appetito non riguarda tanto la voglia di mangiare, ma molto più la voglia di mangiare alimenti PALATABILI. Palatabili vuol dire appetitosi, che ci danno gratificazione. Ed ecco che durante un attacco di fame provocato dall’appetito, non andremo di certo alla ricerca di frutta e verdura, ma piuttosto di quelle merendine che abbiamo in dispensa.
Questa ricerca verso cibi più calorici è dettata in parte dall’aumento dell’ormone dello stress, il cortisolo. Quando siamo a dieta, il corpo percepisce il deficit di energia come un avvenimento stressante, e inizia a produrre cortisolo in maniera maggiore. Uno degli effetti del cortisolo è proprio quello di aumentare il nostro appetito.
Nel momento in cui mangiamo quel cibo dolce, ci sentiamo appagati e il nostro appetito dovrebbe così placarsi. In quel momento, il nostro cervello ha bisogno di gratifcarsi. E, nella giusta misura, converrebbe farlo.
Il MEZZO MOTIVO è costituito dall’ emotività e dalla noia. Mangiamo quando siamo annoiati, e gli attacchi di fame si manifestano molto di più quando stiamo “senza fare niente”. Ed è questo il motivo principale dei nostri attacchi di fame.
I CONSIGLI DEL “NUTRIZIONISTA MEDIO”
Ora, quali sono i consigli che si danno in generale per non cadere nell’attacco di fame? Mangia una verdura, aumenta l’apporto di fibre e proteine perché danno senso di sazietà, bevi te e tisane in modo da riempirti la pancia.
Ed effettivamente, fisiologicamente, questi sono dei buoni, degli ottimi consigli, perché vanno ad influire sul nostro senso di sazietà e a placare quindi la nostra fame. Il problema è che, come abbiamo visto, l’attacco di fame puro, vorace, c’entra poco con la fame fisiologica, ma deriva da un aumento dell’appetito. Cosa ce ne facciamo delle cruditè quando vorremmo scofanarci la dispensa intera?
Ci rendiamo conto che questi consigli che gli esperti di alimentazione ci danno, possono funzionare una volta, anche due, ma alla terza cediamo, ve lo assicuro. Cosa possiamo fare quindi? Ci prendono tutti in giro? Non esiste un modo per evitare l’attacco di fame?
VINCERE GLI ATTACCHI DI FAME: I MIEI CONSIGLI
Secondo la mia esperienza, i consigli più efficaci per vincere gli attacchi di fame partono tutti da un passo importantissimo: cercare di regolarizzare la vostra alimentazione. Nel modo seguente.
Per l’80% dei nostri pasti, andremo a seguire le linee guida generali di una corretta alimentazione e soprattutto, di regolarci con le porzioni. Nei 3 pasti principali, mangeremo regolare, scegliendo cibi più sani, mangiando frutta e verdura, variando le varie fonti proteiche nell’ arco della settimana. E vi do uno spunto in più: se non state seguendo regimi alimentari particolari, provate a seguire la regola del piatto: nei pasti principali, prendete un piatto, dividetelo in 3 porzioni: la metà dell’intero piatto sarà costituita da verdure, e l’altra metà ulteriormente divisa in 2, di cui una sarà costituita da carboidrati (pane,pasta,patate) e l’altra da proteine (carne,pesce,uova). Condite con un filo d’olio, e, mantenendo questa regola per la maggior parte dei vostri giorni, vedrete che non solo non avrete più attacchi di fame, ma è probabile che ne uscirete senza chili in più.
Per l’altro 20%, che potrebbe essere ad esempio la vostra merenda, io vi consiglio fortemente di appagare le nostre voglie, concedendovi e non privandovi degli sfizi.
Ricordiamoci che desideriamo quello di cui ci priviamo.
COME CONCEDERSI “GLI SFIZI” NEL MODO CORRETTO
Il pomeriggio, verso le 3, a me viene sempre voglia di cioccolato. Il cioccolato è principalmente fonte di grassi e zuccheri. Ovviamente dipende dalla quantità ingerita. Diciamo che il mio appetito viene saziato da 2 cubetti di cioccolato. Che cosa faccio durante il resto della giornata? Se proprio voglio stare attenta, metterò un cucchiaino di olio in meno nell’insalata, in modo da pareggiare il contenuto di grassi di quel cioccolato.
Non avrò rinunciato alla mia voglia, e allo stesso tempo non avrò minato la mia forma fisica.
IL CONSIGLIO PIU’ IMPORTANTE PER VINCERE GLI ATTACCHI DI FAME
Cercate di mantenere un’alimentazione quanto più sana possibile, senza obbligarvi a rinunciare a qualcosa che vi piace. Mangiate regolare durante i pasti principali, vivendo con serenità questi momenti di convivialità in famiglia, e, se ne avete voglia, mangiate un cioccolatino insieme al caffè il pomeriggio.
Ma soprattutto, impegnate il vostro tempo in maniera saggia e produttiva.
Non abbiamo bisogno di trucchetti per non mangiare, non abbiamo bisogno di riempirci di tisane per riempire lo stomaco e resistere alla tentazione.
Abbiamo bisogno di riempire il nostro tempo per smettere definitivamente di cercare di riempire il nostro stomaco.
Se avete ricorrenti attacchi di fame, probabilmente la vostra dieta non sarà equilibrata. Ma sono fermamente convinta che più che la dieta, dovete far caso a come occupate il vostro tempo, a come vi ponete nei confronti della vita in generale, a come spendete il vostro tempo libero.
Probabilmente, avete solamente bisogno di occupare la vostra mente di cose che vi diano serenità. E vi assicuro che, occupando il vostro tempo nella maniera corretta per voi, la fame nervosa, magicamente, sparirà.
OCCUPARE IL VOSTRO TEMPO CON COSE CHE VI PIACE FARE, COLTIVANDO LE VOSTRE PASSINI E I VOSTRI INTERESSI: E’ QUESTO IL MODO MIGLIORE PER VINCERE GLI ATTACCHI DI FAME.
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Iniziamo questo viaggio insieme, verso la tua consapevolezza alimentare.
valentina.rossi91.dietista@gmail.com
da Valentina Rossi | Mag 15, 2020 | Alimentazione
In questo articolo parleremo dei grassi alimentari, o lipidi, uno dei tre macronutrienti che costituiscono gli alimenti che ingeriamo. Andremo a vedere in modo particolare come questi vengono classificati, la loro funzione e il loro fabbisogno all’interno della nostra dieta.
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CLASSIFICAZIONE DEI GRASSI ALIMENTARI
Il 90% circa dei grassi alimentari sono, nello specifico, trigliceridi.
Questi ultimi sono lipidi composti da un alcol a tre atomi di carbonio (il glicerolo) e tre acidi grassi legati tra loro.
I trigliceridi che assumiamo con l’alimentazione sono in genere composti da una miscela di acidi grassi molto varia, motivo per cui quando parliamo di grassi alimentari facciamo distinzione tra i vari acidi grassi che compongono in prevalenza questi trigliceridi contenuti nelle varie fonti dietetiche di grassi.
La prima classificazione da fare quando parliamo del mondo dei lipidi alimentari è sicuramente quella che distingue tra acidi grassi saturi e acidi grassi insaturi.
Gli acidi grassi saturi sono grassi prevalentemente di origine animale (ma non del tutto); hanno la peculiarità di presentarsi prevalentemente allo stato solido quando sono a temperatura ambiente. Gli acidi grassi insaturi sono invece di origine vegetale, e a temperatura ambiente si ritrovano allo stato liquido. Questa classificazione è comunque abbastanza pedestre, perché ci sono fonti di grassi saturi che si presentano non solidi a temperatura ambiente e sono di origine vegetale, così come ci sono fonti di grassi insaturi che non sono sempre e solo di origine vegetale.
In generale, comunque, ogni fonte di grasso contiene sia saturi che insaturi, ma quello che cambia è semmai la proporzione e la quantità percentuale di questi tipi di acidi grassi.
Ci sono poi ulteriori classificazioni, che distinguono i grassi saturi in funzione della lunghezza della catena carboniosa dell’acido grasso.
Abbiamo così gli acidi grassi a corta catena (SCFA), gli acidi grassi a media catena (MCFA) e gli acidi grassi a lunga catena (LCFA).
In genere fino ai 12 atomi di carbonio si parla di acidi grassi a corta-media catena, mentre quando la lunghezza è maggiore si parla di LCFA.
Per quanto riguarda i grassi insaturi, invece, questi vengono distinti in funzione del loro grado di insaturazione, e quindi in funzione della quantità di doppi legami presenti: parleremo così di monoinsaturi (MUFA) e polinsaturi (PUFA).
Per quanto riguarda i polinsaturi, facciamo un’ulteriore distinzione tra acidi grassi della serie omega 3 e omega 6, e per quanto riguarda gli effetti degli omega 3 facciamo differenza tra EPA e DHA, tenendo presente che spesso negli alimenti vegetali l’omega 3 è presente in grandi quantità di ALA.
PERCHE’ E’ IMPORTANTE LA DISTINZIONE TRA ACIDI GRASSI SATURI E INSATURI?
Perché è stato visto, da studi epidemiologici, che nei Paesi Mediterranei, che seguivano tendenzialmente diete con una quantità di saturi molto bassa, c’era una minor incidenza di eventi cardiovascolari e una ridotta mortalità.
Al contrario, le popolazioni che consumano grandi quantità di grassi specificamente saturi, avevano un maggior rischio cardiovascolare.
In genere i grassi saturi sono quindi considerati “cattivi” e quindi da ridurre nella propria dieta.
In primis sono, con gli zuccheri, i principali responsabili dell’alterazione del profilo lipidico (aumento trigliceridi, aumento del colesterolo totale e aumento del colesterolo LDL).
Inoltre le principali fonti di grassi saturi, come abbiamo già detto, sono gli alimenti animali, ed è anche questo il motivo per cui si raccomanda di non consumare grandi quantità di alimenti di origine animale.
Nelle Linee Guida dell’OMS, si raccomanda di ridurre a meno del 10% dell’energia totale l’apporto di grassi saturi, mentre l’apporto totale di grassi deve essere tipicamente tra il 25 e il 30%.
FUNZIONE DEI GRASSI ALIMENTARI NELLA DIETA
I lipidi ricoprono numerosissime funzioni:
- sono una fonte concentrata di energia (un grammo di lipidi apporta infatti 9Kcal, più del doppio di quelle fornite dai carboidrati e dalle proteine)
- Veicolano le vitamine liposolubili (A, D, E, K)
- Apportano gli acidi grassi essenziali (AGE), che devono essere necessariamente introdotti con la dieta.
- Rendono i cibi più appetibili; il sapore degli alimenti è infatti legato alla presenza dei grassi. Per questo motivo una dieta povera di lipidi è generalmente difficile da seguire.
- Agiscono sulla sazietà a lungo termine, ritardando l’insorgenza della fame; i lipidi sono infatti un vero e proprio concentrato di energia, distribuita in un volume estremamente ridotto; per questo motivo, si rischia di assumere molte calorie prima di sentirsi sazi. Tuttavia, grazie alla loro elevata carica energetica, con il passare del tempo tendono a posticipare il bisogno di assumere nuovamente del cibo.
QUANTI GRASSI AL GIORNO?
Per quanto riguarda le linee guida generali per la popolazione circa l’apporto di grassi, la prima indicazione da far presente è che un apporto equilibrato e raccomandato è del 20-35% dell’energia totale proveniente da grassi alimentari.
Una distinzione importante, come abbiamo fatto presente diverse volte in precedenza, è tra saturi e insaturi. Nello specifico si consiglia di assumere meno del 7-10% dell’energia totale da grassi saturi e preferire invece i grassi insaturi.
Per quanto riguarda i PUFA l’assunzione consigliata è di 5-10% mentre un apporto maggiore sarà a favore dei monoinsaturi, nello specifico acido oleico (contenuto in grandi quantità, ad esempio, nell’olio extravergine d’oliva).
Un’altra indicazione è quella di fare attenzione al rapporto omega-6 omega-3. In genere si consiglia un rapporto 1:1 anche se è accetta-bile un rapporto 4:1. Tenete conto del fatto che nella tipica dieta occidentale il rapporto è anche 15-20:1 omega 6 – omega 3.
La motivazione alla base di questa raccomandazione è che ci sono stati alcuni studi osservazionali in passato che hanno suggerito che un rapporto troppo sbilanciato a favore degli omega 6 aumentava il rischio cardiovascolare.
Il meccanismo alla base sarebbe l’infiammazione, in quanto si osserva, dalla biochimica di base, che gli omega 6 sono tendenzialmente pro-infiammatori.
Un’altra raccomandazione ancora riguarda quella di evitare del tutto i grassi trans. Questi sono lipidi che, sebbene si possono trovare in natura, in quanto originano dalla bioidrogenazione dei batteri del rumine, sono particolarmente presenti negli alimenti industriali.
Infine, l’ultima indicazione generale circa i fabbisogni di lipidi nella dieta è quella di prestare tendenzialmente poca attenzione (meno di quella che si dava in passato) all’ assunzione di colesterolo alimentare.
Il motivo è che ci sono diversi meccanismi di regolazione della quantità di colesterolo, e che il colesterolo alimentare contribuisce al totale solo per una piccola percentuale (circa il 20-30%)
In realtà non tutte le persone possono bellamente disinteressarsi al colesterolo assunto con la dieta, in quanto esiste una parte della popolazione, definita “iper-responder”, che è significativamente influenzata dal colesterolo assunto con la dieta, per cui è bene monitorare sempre il profilo lipidico con periodiche analisi ematiche e non trascurare, in questi casi, il contenuto di colesterolo contenuto negli alimenti.
Queste sono ovviamente Linee Guida per la popolazione in generale. La quantità di grassi da assumere è strettamente individuale e dipende da tutta una serie di fattori.
Possiamo, ad esempio, tener presente che a livello muscolare, esiste una competizione fra l’utilizzo del glucosio e degli acidi grassi. In modo particolare, quando uno dei due aumenta l’altro diminuisce.
Questo parametro è di fondamentale importanza quando si decide la percentuale di lipidi da introdurre nella dieta. Un filone di pensiero tende a ridurne il più possibile, circa al 10-20% dell’introito calorico: questo dovrebbe aumentare la capacità del corpo di bruciare il glucosio e migliorerebbe la sua tolleranza. Esiste in ogni caso una quota minima di lipidi al giorno, che è di 30-35g, che serve fondamentalmente per trasportare le vitamine liposolubili (nelle donne si consiglia di non scendere sotto ai 40-60g).
Un altro filone invece tende ad aumentare la quota al 30-35% , in quanto una maggior quantità di grassi aumenterebbe la capacità del corpo di ossidarli migliorando la beta-ossidazione. Tuttavia, dovete sapere che più il corpo metabolizza grassi, e più riduce la sua sensibilità ai glucidi.
Troviamo infine le diete low carb, che prediligono come fonte alimentare i grassi, limitando al minimo l’assunzione di glucidi.
Chi ha ragione? La risposta è: DIPENDE.
In linea di massima, possiamo dire che più la persona sarà attiva e svolgerà attività sportive glicolitiche, più la percentuale di grassi può essere ridotta, in quanto il corpo avrà bisogno di buone quantità di zuccheri. Invece più le persone sono sedentarie, o sono impegnate in attività puramente aerobiche (maratona) o di pochi secondi (sollevamento pesi) più la percentuale di grassi può essere consistente.
Non dimentichiamoci mai che, a prescindere dalla composizione in macronutrienti del pasto (e della dieta), ciò che conta nell’accumulo di grasso o nel dimagrimento è il bilancio lipidico. Infine ricordatevi che il fattore fondamentale per la salute, prima dei macronutrienti, è il giusto equilibrio energetico, se in eccesso cronicamente fa sempre male, a prescindere da quello che mangiate.
QUANDO PREFERIRE DIETE HIGH FAT/LOW CARB?
- Nel caso di soggetti con insulino-resistenza; molti studi infatti suggeriscono che, anche a parità di calorie, una dieta a basso contenuto di carboidrati potrebbe essere più efficace, PER QUESTI SOGGETTI, per il dimagrimento rispetto a una dieta high carb/low fat
- Nel caso di soggetti con bassa flessibilità metabolica, ovvero una bassa capacità di saper switchare da un metabolismo prevalentemente glucidico ad uno prevalentemente lipidico e viceversa. In questi casi diverse strategie come vari protocolli di digiuno intermittente, una dieta chetogenica o anche una non-chetogenica ma low carb e high fat possono avere dei vantaggi inizialmente, in quanto effettivamente “insegnano” (anzi, “costringono”) il corpo a utilizzare prevalentemente il metabolismo lipidico
- Nel caso di soggetti che per vari motivi vogliono perdere peso molto velocemente nel breve periodo. In realtà tale perdita di peso non è rappresentata dalla perdita di massa grassa, quanto piuttosto dai liquidi. E poiché le diete low carb/high fat, e ancor di più le diete chetogeniche, sono “diete diuretiche”, sono più efficaci per questi specifici obiettivi a breve termine (e temporanei).
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valentina.rossi91.dietista@gmail.com